Nella mente di chi guarda
Mostra collettiva a cura di Marco M. Coltellacci, Laura Solieri e Alessandro Mescoli presso la chiesa di San Giovanni Battista in Modena.
COMUNICATO STAMPA
Modena, 13 settembre 2019 – In occasione del Festivalfilosofia inaugura la mostra
“Nella mente di chi guarda. Memoria, dignità e identità del quotidiano”
Il 13 settembre 2019 alle ore 18.30 nell’ambito del Festivalfilosofia inaugura a Modena presso la Chiesa di San Giovanni Battista (Piazza Matteotti) la mostra Nella mente di chi guarda. Memoria, dignità e identità del quotidiano visitabile tutti i weekend fino al 13 ottobre. La mostra è prodotta dall’Arcidiocesi di Modena – Nonantola e curata da Marco Maria Coltellacci, Laura Solieri e Alessandro Mescoli e in occasione dell’inaugurazione verrà presentato il catalogo con i contributi critici di Ilaria Dall’Olio e Enrico Turchi.
Una mostra di respiro internazionale che vede dialogare insieme grandi maestri dell’arte contemporanea tra cui Andrea Chiesi, Juan Eugenio Ochoa, Omar Galliani, Andreas Senoner, Sergio Padovani e Serena Zanardi sullo studio della figura umana, ponendo l’accento sull’evoluzione dell’indagine artistica sul corpo e sull’attenzione verso chi è dimenticato: gli altri come noi stessi. In questo dialogo non mancherà il confronto con i maestri del passato tra cui lo scultore Guido Mazzoni con il Compianto sul Cristo morto e il maestro emiliano Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino con Mosè.
Un’esposizione collettiva che riunisce artisti di rilevanza internazionale e artisti emergenti, tutti contraddistinti da un importante percorso espositivo e accademico, che attraverso linguaggi diversi raccontano l’umano, tra storie religiose e quotidiane. L’evanescenza che si contrappone alla materia, al pane quotidiano; il mimetismo dell’anonimia che dialoga con la ricerca dell’identità; la profanazione del corpo che attraverso lo smembramento artistico della rappresentazione interroga i nostri frammenti interiori.
Con l’intento di fare risuonare la voce e lo sguardo degli artisti e, contemporaneamente, dei visitatori attraverso le opere esposte, questa mostra intende valorizzare l’arte come simbolo della responsabilità verso il prossimo, della tensione all’altro e dell’educazione alla diversità, forza motrice nel dialogo tra le persone.
La mostra sarà occasione per esporre al pubblico opere di:
Guido Mazzoni: Compianto sul Cristo morto, Giovanni Francesco Barbieri (detto il Guercino): Mosè, Giovanni Giacomo Sementi: Madonna col Bambino, Lorenzo Pasinelli: Maddalena in meditazione.
E le opere di:
Massimiliano Galliani, Andrea Chiesi, Elysia Athanatos, Andrea Capucci, Collettivo Zoom Weg, Karin Dolin, Simone Fazio, Luca Freschi, Michelangelo Galliani, Omar Galliani, Barbara Giorgis, Carla Iacono, Matteo Lucca, Juan Eugenio Ochoa, Sergio Padovani, Federica Poletti, Marika Ricchi, Andreas Senoner, Serena Zanardi.
La mostra è visitabile gratuitamente.
Orari durante il Festivalfilosofia:
Venerdì 13 settembre ore 9.00 – 23.00
Sabato 14 settembre ore 9.00 – 24.00
Domenica 15 settembre ore 9.00 – 21.00
Dopo il festival la mostra sarà visitabile fino al 13 ottobre 2019:
Sabato e domenica ore 10.00 – 13.00 e 15.00 – 19.30
Per visite guidate telefonare al 329 72 36 079
LIBERARE LA VITA
Una lettura a partire dal Compianto
A quanti con appassionata dedizione cercano nuove «epifanie» della bellezza per farne dono al mondo nella creazione artistica.
Papa Giovanni Paolo II
La Chiesa di San Giovanni Battista a Modena si apre al contemporaneo e al racconto dell’umano, tra religione e storie quotidiane. In un contesto fortemente evocativo, le opere d’arte contemporanea dialogano con i soggetti e i temi del sacro, a partire dal Compianto su Cristo Morto di Guido Mazzoni.Da sempre l’artesi misura con il mistero, la spiritualità, il non rappresentabile, per creare un ponte tra visibile e invisibile, finito e infinito.
in questa occasione unica, la scena tutta umana del Compianto, una scena quotidiana che incontra il sacro, apre un percorso di riflessione sull’umano che approda alla civiltà occidentale, da esplorare attraverso l’indagine artistica del corpo, oscillante tra io e noi, tra l’esplorazione del sé e la creazione di un ponte verso il prossimo, che oggi abbiamo dimenticato.
A dirigere la messa in scena del Mazzoni è un impasto di architetture corporali e sentimento, che se da un lato rappresenta la morte come un dramma totalmente terreno, dall’altro riscopre una spiritualità e invita a una rilettura del messaggio del gesto estremo. La serenità scolpita nel volto di Cristoesprime pace e liberazione, dell’uomo dalla paura della morte, dal peso della colpa. Non quindi una dimensione sacrificale della morte, che corre in parallelo all’inclinazione e alla perversione umana al sacrificio, alla condanna di ogni desiderio terreno, alla logica del dovere, che ci indebita in vista di una felicità futura. Ma il dono gratuito della propria vita per amore del prossimo: vince l’Amore come forza generativa, il perdono, il movimento verso l’altro. Sono gratuiti e non meritano una ricompensa.
La lettura della croce come liberazione e non come condanna appartiene a una linea di pensiero teologico che da Sant’Agostino arriva fino al Novecento, passando per Tommaso d’Aquino e Kierkegaard.La dicotomia è espressa dal Martyrium Sanctae Eulaliae “Credo”di Luca Freschi attraverso l’iconoclastia, quindi il rifiuto del corpo per distorcere il coinvolgimento emotivo dell’osservatore. È il volto in terracotta della martire ad attirare la nostra attenzione, sereno ma segnato dalle lacrime, crepato da ferite e cicatrici, emblema della lotta quotidiana dell’uomo in nome di una causa che ne distrugge l’individualità, nell’illusione dell’affermazione dell’identità.In linea di continuità, In nomine patris di Marika Ricchi si rivolge a un’umanità frammentata di cui siamo responsabili e allo stesso tempo vittime. Ancora una volta la profanazione del corpo ne inchioda due frammenti di marmo a un crocifisso scomposto in acciaio: un’immagine disorientante in cui l’assenza del corpo integro ne decreta la perdita di dignità, di un’umanità senza un appoggio stabile, che può sorreggersi solo interrogando la mente.
A difesa dell’uguaglianza nel terreno comune dell’umanità, il Golgŏtha di Simone Fazio immola tre uomini incappucciati, senza volto e identità, dal corpo asciutto e fragile, vittime della paura e dell’odio imperanti della contemporaneità.
In preda alle tentazioni è il San Girolamo di Sergio Padovani, uomo, logoro, smagrito, consumato dall’ascesi e dall’attesa mai appagata, effetto di un annichilamento espiatorio sotto il peso del sacrificio, per garantirsi quella superiorità morale che infatti viene ricambiata con la venerazione. La pala d’altare Tentazioni di San Girolamo è l’allegoria dell’uomo contemporaneo che vive nel buio, preda di un mondo che lo affascina, spietatamente lo illude e nel quale si perde. In altre parole, è la lotta tra bene e male, protagonista della storia del cristianesimo e dell’uomo.
Profuma di liberazione e leggerezza l’elegante corpo femminile modellato da Elysia Athanatos, lontano dal peso della vita della terra. Release è la rivelazione di un’esperienza mistica, di ascensione, tesa tra i limiti della corporeità e le possibilità della mente. È apertura, trascendenza, salto, esposizione verso l’altro che noi non possiamo governare. La vita è un’esperienza d’amore, contro l’idolo fasullo dei nostri tempi dell’autonomia e dell’indipendenza.Distesa e abbandonata, debole e impotente, tra la deposizione e l’ascensione, l’abbandono e l’estasi è invecela donna scolpita nel marmo da Michelangelo Galliani. L’Assedio racconta l’umano al confine tra carne e spirito, in vista di una liberazione, un esorcismo dalla paura, dal male.Anche Federica Poletti racconta questa ambivalenza nel dipinto Luce, una maternità contemporanea che fa i conti con il peso della carne e rivela nella preziosità dell’oro il legame d’amore tra madre e figlio. Di una matericità cruda e segnata ancora una volta dalle ferite e dalle bruciature, ma affascinante e piena di lirismo è la coppia di figure corporee di Matteo Lucca, che hanno la carica simbolica di corpo e pane insieme: esistenza effimera e offerta di nutrimento per il corpo e lo spirito. Sentiamo le vibrazioni dell’imprevedibilità della vita edella fragilità dell’essere umano, che trovano il punto di equilibrio nell’atto eucaristico del dono, della condivisione di sé per amore.
Laddove invece vincono paura e invidia, a comandare è il rifiuto dell’altro. Con la serie Re-velation Carla Iacono interseca lo studio sull’iconologia del velo con la pluralità di significati simbolici tra oriente e occidente, per lanciare un grido di accusa contro la manipolazione delle differenze culturali e qualsiasi assurda connotazione di attacco ai principi di laicità e uguaglianza.I suoi ritratti fotografici di donne sono immagini piene di pudore, un diaframma tra l’individuo e il mondo, una richiesta di rispetto dell’identità, contro l’alimentazione di paure e divisioni.
Muove la nostra attenzione verso i dimenticati, gli ultimi, l’installazione sonora del collettivo Zoomweg. Sono le voci dei senzatetto accolti nella Capanna di Betlemme di Don Benzi a Rimini a raccontare le loro storie di vita all’interno del confessionale della Chiesa, luogo di perdono che segna simbolicamente un nuovo inizio di ascolto e condivisione, per noi e per loro.
In un’epoca dettata dalla politica della paura come strumento di potere, in cui i legami si frantumano, lo spirito di solidarietà di indebolisce, si affermano l’isolamento e l’insicurezza, la mostra intende valorizzare l’arte, nella mente di chi guarda, come ponte verso relazioni umane fondate sul dialogo, il rispetto e la cooperazione.
- Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, «La Traccia» n. 4, maggio 1999, p. 333/IV.
- Cfr. A.LUGLI,Guido Mazzoni e la rinascita della terracotta nel Quattrocento, Allemandi, Torino 1990.
- Cfr. M. RECALCATI, Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017.
Volti che sfumano tra espressioni di vivere e patire. Una lettura a partire dal Compianto.
di Enrico Turchi
Così i gesti vivi delle immagini esangui, e i movimenti delle figure immobili, quasi erompessero via dai quadri, e le spiranti fattezze dei volti ti tengano sospeso, come se poco meno ti aspettassi che da lì erompesse anche la voce.
Francesco Petrarca, De remediis utriusque fortunae
Arte realista non è solo esaltazione degli aspetti più prosaici della realtà, che è l’esito se mai di un’applicazione meccanica, ma spunto di mimesi vitale, destinato a sorprendere e imprimersi nella mente dell’osservatore per la sua efficacia.
Adalgisa Lugli, Guido Mazzoni e la rinascita della terracotta nel quattrocento
La terra è sempre al primo posto tra gli inventari delle arti e degli elementi nelle Enciclopedie del XV secolo, il materiale d’uso in cui pittori e scultori si incontrano. Arti che ancora non hanno trovato una netta separazione, come si deve agli esercizi di sperimentazione propri di quel frangente storico. La terracotta ne è il compimento in sculture che conservano tratti vernacolari, ricalcati sui volti delle persone che appartengono al loro dominio. A restituirci le fattezze di un’epoca, l’opera prima di Guido Mazzoni, il Compianto sul Cristo morto della Chiesa di San Giovanni della Buona Morte, dove il pianto e il dolore corrono fino ai muscoli e alle rughe, si esprimono nelle mani e nel movimento calibrato delle corporature, nelle voci che paiono uscire da quelle espressioni di estremo cordoglio. Viene presto da riferirsi alla prima attività del Mazzoni, che fu autore delle maschere per i Misteri cittadini, come se sotto quei volumi i volti accogliessero un tangibile spessore di vita. Figure modellate su sembianze reali, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, come due repoussoir degli oggetti liminari tanto frequenti nella pittura di Antonio da Crevalcore, secondo Adolfo Venturi rappresentano due massari della Confranternita di San Giovanni Decollato, Ser Gaspare de’ Longhi e Ser Francesco Pancera.
Nel Compianto di Napoli presero le fattezze degli Aragona, a Ferrara degli Este, in quello di Busseto dei Pallavicino. Padre Vincenzo, attualmente in esercizio nel Monastero di Santa Maria degli Angeli di Busseto, racconta della somiglianza tra la statua di Giuseppe d’Arimatea e l’attuale erede della famiglia Pallavicino. I volti sfumano nelle nostra mente un’idea che si riallaccia alla solidità della storia come un percorso continuo, ininterrotto, e la via che seguiamo ritrova la quiete del riposo nella speranza di unità del vissuto. Le lacrime come argomento di scultura dipinta, in base a quella che doveva essere l’originaria policromia del gruppo modenese, assieme all’animazione dell’espressione negli occhi, sulle labbra, tra le pieghe delle vesti, fornisce un solido contatto ai temi della scuola ferrarese in pittura.
La relazione tra quest’ultima e l’attività del Mazzoni sollecita il clima di normale contaminazione tra pittura e scultura, in un’epoca dove l’uomo era aperto a svolgere diversi mestieri, o ad arricchire del suo quello di altri. È forte l’assonanza con l’affresco superstite ora alla Pinaconeca di Bologna, Volto di Maria Maddalena piangente di Ercole de’ Roberti, sicura fonte di formazione per Guido. Ma osservando i tratti meravigliosi e tristi di Giuseppe d’Arimatea, possono sovvenirci i toni grevi dei volti del Mantegna, come negli arcieri posti a lato della scena del San Sebastiano, dove l’obbiettività si esprime fino alla crudezza. In Mazzoni la gravità del Compianto conserva un sentore di tenerezza che permane all’interno delle urla e dei gesti tragici. Un dolore che tiene tutta l’intensità della sua precedente familiarità. Sculture spesso realizzate con la collaborazione dei propri congiunti, quelle del Mazzoni, la moglie Pelligrina Discalzi e la figlia, entrambe scultrici, perdute in Francia prima del rientro a Modena nel 1516. Morirà nel 1518. Il patire che leggiamo sulle espressioni del suo Compianto ci suggerisce un modo di vivere che acquisiamo senza pensiero, dove il progresso sembra avere un punto fermo, e sentimenti cronici di panico ed estasi si spostano sulla delicatezza della terracotta, ricorda della sua origine semplice ed umile.
Un invito a non lasciarsi trasportare dalle consuetudini, senza per forza sentirsi padroni della propria esistenza. Circondano queste figure, nello spazio della pianta circolare e della cupola ellissoidale all’interno della Chiesa di San Giovanni, le opere di diciannove artisti contemporanei. Andrea Capucci sceglie di dedicare la propria alla singolarità dell’evento, in legame e a ispirazione del Compianto. Le sette figure canoniche del Compianto sono di una terracotta prostrata ai segni del mare, ritrovano la loro funzione nel compatire, schierarsi dalla parte del condannato, dell’amore incondizionato verso il prossimo. Li incontra una figura femminile, che nasconde il dramma di una tragedia diffusa dalla cronaca internazionale, in quell’unico segnale di rosso che ci parla di Alan Kurdi, il bambino siriano ritrovato esanime sulle coste della Turchia il 3 settembre 2015. Il colore digrada verso la spiaggia, e c’è chi non è pronto ad accogliere quel blu smeraldino, oltre i sette intorno, più di cento scelgono, non sanno o fanno finta di non vedere. Andrea Chiesi ci restituisce nuovi volti che sfumano nell’intensità di un ritratto, varia l’unità del sentire negli accenti del carattere, coniugato ai segni istintuali della serie Ritratto di Sheyma, in arabo “Colei che possiede una macchia di bellezza”. Altre effigi del contemporaneo nelle sculture di Andreas Senoner, Mask moulting e Nest, dove lo smarrimento causato dal processo di metamorfosi non nasconde la ieraticità del legno, la dignità straniante di questi soggetti. Barbara Giorgis confronta pittura e scultura, ritrovando forse quella pluralità del mestiere che si esercitava al termine del Quattrocento.
L’essenzialità minima dei volti scultorei degrada in ombre che quasi si appropriano della figura, mentre i segni sulla carta tracciano un nero pieno e continuo anche nei tratti celati delle sue apparizioni. Juan Eugenio Ochoa contrappone una patina tra il soggetto e l’osservatore, con risultati non diversi da invogliare lo sguardo ad essere più penetrante e profondo, come catturato dal volto. L’autoritratto di Massimiliano Galliani, Attraverso, sfonda il velo sottile della quarta parete, e a differenza di Ochoa, sembra incontrarci anzichè cercare di includerci in fondo al suo spazio visivo. Michelangelo Galliani ritrova la raffinatezza dell’esercizio scultoreo, quando il marmo si fa lieve e la figura sembra ascendere anzichè adagiarsi nella quiete del suo riposo. Blu Oltremare di Omar Galliani ci restituisce gli occhi chiusi di un volto femminile in cui freme il suono dell’acqua, nel silenzio di contorno, e l’attenzione stimolata non può fuggire altrove. Serena Zanardi con la serie delle sue Trentatrè, figure a mezzo busto, ci restituisce la bellezza delle differenze nella pluralità e nella giocosità dell’essere persone. La terra madre si alza dal fango, si sgretola in un tocco di argilla troppo pesante perchè il tempo possa reggere l’essere delicato e fragile del contatto tra giovane e donna nel Chorus of One, a opera di Karin Dolin. Chissà che non abbiamo ritrovato il tesoro del Mazzoni, secondo quanto sostiene Adolfo Venturi al termine della sua biografia, basandosi sulle notizie del celebre cronista Tommasino Lancillotto.
Il nome del Mazzoni suonò caro e riverito per tutto il Cinquecento a Modena; e il popolo che ne conosceva la vita avventurosa, che sapeva quant’egli fosse stato amato e protetto dalle splendide corti di Napoli e di Francia, andava buccinando che in casa sua fossero nascosti tesori. Ma forse qualcuno di quegl’increduli modenesi del Cinquecento, avrà assicurato ai giovani artisti che, se spogli di pregiudizi e di convenzioni, avessero saputo specchiare nell’arte il sentimento d’un popolo, allora avrebbero trovato i tesori del Mazzoni.
Adolfo Venturi, Di un insigne artista modenese del secolo XV
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